Traduzione e adattamento de “Gli Aristogatti”
Guardando “Gli Aristogatti” con mia figlia mi sono divertita a cercare notizie e curiosità sulla sua versione originale. Magari ciò che ho scoperto è cosa nota, ma per me è stata una vera sorpresa! E non ho potuto non ripensarci nell’ottica della traduzione.
Innanzitutto partiamo dai nomi dei personaggi: i tre gattini che in italiano sono Minou, Bizet e Matisse nella versione originale si chiamano Marie, Berlioz e Toulouse. Marie in onore della regale Maria Antonietta, Berlioz in onore del compositore Hector Berlioz e Toulouse ispirato all’omonimo pittore Henri de Toulouse-Lautrec. Tutte doti peculiari di ciascuno dei nostri protagonisti, ben visibili anche dai loro atteggiamenti: allora perché cambiarne i nomi? Stessa cosa per il topo Groviera, in originale Roquefort; anche il mitico Romeo, che ci ha incantato con il suo accento e la sua verve tipicamente romana, nella versione originale non soltanto si chiama Thomas O’Malley, ma è irlandese! E per finire, le simpatiche oche Adelina e Guendalina Bla Bla sono nate come Abigail e Amelia Gobble, e lo zio Reginaldo come “Uncle Waldo”. Infine, emerge l’adattamento di due delle canzoni-pilastro del film: “Romeo, er mejo der colosseo” e “Tutti quanti voglion fare jazz”. In origine dicono tutt’altro: “Thomas O’Malley, O’Malley the alley cat” e “Everybody wants to be a cat”.
Da dove nasce l’adattamento italiano?
Ho letto pareri molto delusi a riguardo, che hanno parlato di negligenza (o addirittura pigrizia!) dei traduttori italiani, ma in realtà si tratta di esempi – secondo me geniali – di localizzazione: l’adattamento di un testo o di una parola alla cultura destinata a riceverli, diversa da quella di partenza.
Partiamo dalla domanda più importante: chi sono i destinatari del cartone animato? I bambini italiani. Avrebbe avuto lo stesso effetto sui piccoli spettatori mantenere i nomi dei personaggi così “lontani” dalla nostra cultura? A un bambino italiano viene più immediato capire cos’è il groviera o il roquefort? (e vale forse anche per qualche adulto… 🙂 ) Si sarebbe capita meglio la diversità di classe sociale tra gli aristocratici gatti e Thomas O’Malley, se non l’avessero tradotto come Romeo (nome più popolare e “casereccio”), con relativo cambio di identità “romanaccia doc”? Secondo me no, decisamente non avrebbe reso allo stesso modo. Un bambino italiano in questo modo percepisce che i protagonisti vengono da due mondi diversi, rispecchiando il senso dell’originale che mette a confronto l’elegante Francia con l’allegra Irlanda.
I nomi Matisse e Bizet sono stati scelti perché, per noi italiani, risultavano molto più immediati da associare a delle personalità specifiche rispetto a Toulouse e Berlioz, famosi ugualmente ma non così familiari per il pubblico italiano. In più trovo che, dal momento in cui nel film compare anche la Carmen in sottofondo in una delle prime scene, chiamare uno dei protagonisti Bizet sia stato un altro piccolo colpo di genio!
Veniamo alle due oche, Adelina e Guendalina: nomi molto più familiari al nostro orecchio rispetto ad Amelia e Abigail, e il “Blabla” del cognome richiama il suono evocato dall’originale “Gobble” (che significa “gloglottare del tacchino, fare gluglu”) e calza a pennello con la parlantina delle nostre protagoniste! Infine, sempre nel rispetto di questa politica di familiarizzazione, “Uncle Waldo” è diventato “Zio Reginaldo”. E per fortuna: quanti “Zio Waldo” ci sono in Italia?
Per le canzoni, c’è da fare una piccola premessa. Tutto il film è pieno di giochi di parole inglesi che usano un gergo “felino” per fare dei rimandi al jazz, che in italiano sono stati resi benissimo e non sono affatto frutto di sviste o negligenza: “cat” infatti non vuoldire soltanto gatto, ma in slang significa “grande appassionato di jazz, jazzomane”. Ecco che “Tutti quanti voglion fare jazz” non suona così sacrilego rispetto a “Everybody wants to be a cat”. E con la parola “jazz” si intende proprio anche un carattere vivace, allegro, brioso, proprio come sono Romeo e i suoi amici. Quindi, risulta una bella trovata anche l’idea di assimilare al jazz la cultura romana! Se la canzone fosse stata tradotta letteralmente si sarebbero persi completamente il senso e lo scopo dell’originale, cosa che invece gli adattatori Mario Maldesi e Roberto De Leonardis sono riusciti a fare perfettamente. Anche cercando di rendere la rima “Romeo/colosseo” per rispettare “O’Malley/alley”. Esempi di transcreazione a gogò!
Perciò, in conclusione, credo che il lavoro dei nostri adattatori sia stato eccezionale; sono riusciti a convogliare il significato dell’originale, restando fedeli alle intenzioni e allo scopo del film. È vero che, in parte, questo ha portato a sacrificare la traduzione letterale, ma se non avessero fatto questa scelta, forse questo film non sarebbe stato così tanto amato.