Quest’anno sono andata a Roma alle mie prime Giornate della Traduzione Letteraria, curate da Stefano Arduini e Ilide Carmignani, giunte alla loro sedicesima edizione.
Ripensandoci, paragono questi giorni alle montagne russe, in cui quando meno te l’aspetti vieni colta di sorpresa scendendo in picchiata e un minuto dopo vedi la salita più ripida che mai. Alcuni interventi sono stati illuminanti, e uno in particolare perfino commovente. Una sensazione però mi ha accompagnato costantemente: mi sono sentita a casa, in un posto dove finalmente ho potuto parlare di traduzione senza ricevere strani sguardi o “perle“, dove ho trovato persone che prendono questa professione sul serio, dove è chiaro che passione significa anche sacrificio.
Il programma era denso e variegato (eccolo qui). Tra interventi, dialoghi con i traduttori, premiazioni e presentazioni di libri le giornate sono letteralmente volate. Mi è piaciuto aver dato uno sguardo al panorama editoriale italiano dalla prospettiva di un grande gruppo editoriale come Mauri Spagnol (incontro con Stefano Mauri) e da quella della piccola e media editoria indipendente (intervento di Lorenzo Flabbi e Isabella Ferretti). La quantità di seminari tra cui scegliere era vasta, peccato non averne potuti seguire di più! Alcuni tra quelli che ho scelto erano estremamente pratici, come lo studio delle classifiche di vendita e la corretta impostazione di una scheda di lettura, altri più legati a un tema specifico: i tranelli linguistici nascosti dentro un testo per l’infanzia, le “traduzioni estreme” di acrostici obliqui e rime, la letteratura cinese, l’importanza di veicolare un’intera cultura dentro una sola parola.
A questo proposito, ripenso all’intervento che doveva essere un semplice discorso di ringraziamento del professor Giorgio Amitrano, a cui è stato conferito il premio Enriques. Saranno state la passione con cui parlava di traduzione, l’attenzione nella ricerca della sfumatura giusta delle parole, il suo sguardo, forse anche la bellezza di sentir parlare finalmente di lingue meno comuni… sta di fatto che mi sono commossa. Sembrava di ascoltare poesia.
Sono tornata a casa felice. Felice che ci siano persone che si lasciano ancora stupire da una lingua straniera nonostante traducano da decenni. Felice di tante cose che ho imparato. Consapevole che la strada è ancora lunga, e (per fortuna) ricca di scoperte e cose da imparare.
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